Ho cominciato a voler conoscere

24 Feb 2015 | Renata Borlone, Vita

Chiarettina, così Chiara Lubich era solita chiamare Renata Borlone (1930-1990). Un nome che dice la luce che spargeva attorno a sé, attingendo alla fonte della nuova corrente evangelica nata a Trento nel secondo dopoguerra. Sfogliando le pagine della sua autobiografia  – La gioia di essere tutta di Dio, Ed. Città Nuova, 2011 – ripercorriamo il sottile filo doro che si dipana dalla scoperta dell’amore di Dio alla scelta di consacrarsi a Lui e il suo impegno nel Movimento dei Focolari in Italia, in Spagna, Belgio, Svizzera e poi, nella cittadella internazionale di Loppiano (FI).

«Mi appassionava la matematica per la sua logica. Avevo momenti di vera gioia, di esultanza quando la mente scopriva qualcosa di nuovo. Capivo quell’espressione: “Il perder tempo a chi più sa più spiace”. Volevo approfondire soprattutto – dicevo – le scienze esatte. Non sempre capivo i filosofi: nelle loro teorie non trovavo mai l’aggancio con la realtà e quello mi importava.

Ricordo un anno in cui per alcuni mesi mi ruppi la testa sulla non quadratura del cerchio. Avevo sentito dire da mio padre che un celebre matematico aveva detto che non la si spiegava perché era troppo facile da capire. Riuscivo bene sia nella matematica che nella chimica che nella fisica, tutta la mia vita era concentrata sempre e solo sui libri.
Coltivavo, sia pure saltuariamente, la rara amicizia di quelli che, secondo il mio modo di vedere, avrebbero potuto aiutarmi ad arricchire la mia mente. Avevo escluso dalla mia vita qualsiasi rapporto affettivo che non fosse con i miei familiari. Volevo rimanere libera: ero cosciente che un’attrazione particolare verso qualcuno mi avrebbe distolta dalla meta che volevo raggiungere. Conoscere, conoscere e continuare a conoscere per tutta la vita, anche se poteva costarmi sacrificio. […]
Verso i 16, 17 anni mi sembrava di avere chiara la distinzione tra erudizione e cultura. Volevo diventare una persona colta, per cui, sebbene cercassi di sapere un po’ tutto, ambivo di penetrare in profondità in un campo specifico, quello della chimica. Speravo di acquisire una conoscenza che, pur avendo aspetti particolari, potesse, in qualche modo, farmi abbracciare l’universale. […]
Qualcosa nel più profondo del mio essere mi spingeva a non rinnegare la fede: Dio c’è, Gesù è venuto sulla terra, è morto per noi, per me. Arrivavo anche alla conclusione che quanto la Chiesa insegnava era la Verità; al di là di tutte le apparenze esterne e delle critiche che udivo continuamente intorno a me.
Questa fede, anche se poi non riuscivo a tradurla in vita, mi stupiva; per me era quasi una prova dell’esistenza di Dio. Ero sicura che al mondo non potessero esistere gli atei e che quanti dicevano di esserlo si erano fatti certamente l’immagine di un Dio non vero. […]
Qualche volta sentivo dire che la natura, con i suoi orizzonti sconfinati, poteva avvicinare a Dio. A volte spaziavo con lo sguardo verso il cielo, guardavo il sole o le stelle. L’animazione del creato, la vita che nasce e che muore, i fiori, i frutti non mi parlavano. Ero delusa. Cercavo Dio negli esseri intelligenti in cui poteva esserci un riflesso di Lui. Non sapevo ancora che solo nel Creatore-Amore avrei potuto scoprire il creato e le sue creature ed amarle».

da RENATA BORLONE, La gioia di essere tutta di Dio, Ed. Città Nuova, 2011

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