Natale, il Verbo si fece davvero carne

23 Dic 2023 | Notizie, Spiritualità, Vita

Nella spoglia e fredda cornice di una grotta Maria partorisce Gesù. Il Figlio di Dio, manifestazione piena dell’amore del Padre, entra nella storia dell’umanità e l’incarnazione inizia ad attuarsi. 

di Gérard Rossé

L’incarnazione significa che l’uomo Gesù, di cui si festeggia la nascita, è la persona divina del Figlio o il Verbo divino fattosi uomo. Questa verità di fede per i cristiani è nata molto presto nella stessa Chiesa giudeo-cristiana, quindi in un ambiente religioso, il giudaismo, assolutamente contrario a tale affermazione. Era giudicata come bestemmia, perché nega la fondamentale verità dell’unicità di Dio (visto che l’incarnazione suppone che Dio in se stesso è comunione, quindi aperto all’alterità), e nega la Trascendenza divina. Israele, infatti, riconosce la condiscendenza divina, ma non una sua incarnazione.

Ora la fede cristiana riconosce che uno della Trinità si è fatto uomo. Cosa significa? Nella tradizione cristiana del passato si capiva questa verità in chiave antropologica. Significa cioè che il Verbo di Dio è diventato vero uomo (pur rimanendo Dio), quindi che ha assunto un’anima unita ad un corpo passibile e mortale. Come ogni essere umano egli aveva la sua volontà, quindi libertà, e poteva fare delle scelte. Ma essendo anche Dio, Gesù come uomo aveva la visione beatifica e ovviamente sapeva di essere Dio, conosceva le leggi del cosmo, il suo destino. Era perfetto in ogni tappa della sua esistenza, non ha imparato da nessuno, neanche dai genitori.

Ma questa visione dell’incarnazione corrisponde alla Rivelazione? In passato ci si fermava sul fatto che uno della Trinità si è fatto uomo, cioè ha assunto un corpo mortale come noi. Ora lo stesso vangelo di Giovanni che insiste sulla divinità di Gesù, nel prologo al Vangelo non scrive «il Verbo si fece uomo», ma «il Verbo si fece carne». E “carne” non significa soltanto essere vero uomo “in carne ed ossa”, ma che il Verbo incarnato si è reso totalmente solidale con la nostra condizione umana di debolezza, di lontananza da Dio, una umanità sotto il dominio di quella potenza nemica che Paolo chiama il Peccato.

Il Figlio divino, fatto uomo, ha dunque vissuto una esistenza umana autentica, con tutti i suoi limiti, anche ignoranza e tentazioni, senza prerogative divine (tranne quelle legate alla sua missione). Egli ha bisogno degli altri per crescere in umanità, ha dovuto imparare, ricevere dai genitori e dalla sinagoga del posto la conoscenza delle Scritture, la conoscenza di JHWH, il Dio che ha fatto alleanza con Israele, e col quale Gesù sente crescere un rapporto filiale singolare. Ma come per ogni israelita, JHWH è l’unico Dio, il Trascendente. E Gesù si sente membro fedele e convinto del suo popolo. Mai gli sarebbe venuto in mente di essere Dio, tanto più che si sente Figlio totalmente dipendente dal Dio unico. Ricordiamo la sua reazione ad un rabbi che lo chiama “Maestro buono”.

Questa solidarietà del Figlio incarnato con la condizione umana è particolarmente sottolineata da Paolo. Ai Galati egli scrive: «Dio inviò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge» (Gal 4,4). Gesù non è presentato soltanto come vero uomo nato come tutti, ma come vero Giudeo vissuto sotto il sistema religioso della Legge di Mosè, e quindi non preparato ad aprirsi all’universale, ad annunciare il Vangelo al mondo degli uomini. Occorreva che la stessa Legge lo espellesse dal suo sistema di salvezza, perché la sua missione acquistasse la dimensione universale.

Paolo è esplicito: «Cristo ci ha riscattato dalla maledizione della Legge, divenuto per noi maledizione (come crocifisso), poiché è stato scritto maledetto ogni appeso al legno» (Gal 3,13). Gesù crocifisso, dichiarato maledetto dalla stessa Legge, si vede respinto dal suo sistema salvifico, e quindi respinto dal popolo dell’alleanza, quindi non più giudeo, ma solo uomo solidale fino in fondo con l’umanità lontana da Dio, cioè nella situazione non-escatologico di ogni essere umano dinanzi a Dio. Là, sulla croce, Gesù ha raggiunto il culmine dell’incarnazione. E là Dio lo risuscita «primogenito di molti fratelli» (Rm 8,29). Paolo è ancora più esplicito nella lettera ai Romani (8,3): «Dio inviò il suo Figlio in una carne conforme a carne di peccato».

L’incarnazione, dunque, porta il Figlio non solo ad essere carne, cioè solidale con la nostra condizione umana di limite creaturale, ma ad essere “carne di peccato”, partecipando dal di dentro alla nostra situazione di non-Dio dovuta al dominio del Peccato. Così egli vive in sé filialmente tale situazione aprendosi all’azione creatrice di Dio.

Natale. Quanto stupore suscita l’azione di Dio! Quel bambino che nasce, cresce e impara a conoscere le condizioni dell’umanità stando in mezzo a noi la dice lunga sull’amore salvifico di Dio per ogni persona.

 

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