72 anni fa, il 16 luglio 1949, un “patto di unità” tra Chiara Lubich e Igino Giordani segna l’inizio di un periodo di luce che resta come icona di tutto quanto il carisma dell’unità genererà da allora in poi. Abbiamo chiesto ad Anna Pelli, membro del Centro Studi Interdisciplinare “Scuola Abba” che proprio con Chiara ha approfondito gli scritti del 1949, di accompagnarci in una riflessione sul rapporto tra quella esperienza di luce e il disegno della cittadella di Loppiano.
16 luglio 1949. Seduta su una panchina rossa, lungo l’argine del torrente Canali che scorre a Tonadico, Chiara domanda a Foco: “Sai dove siamo?”.
Inizia così la narrazione di ciò che le era appena accaduto durante la celebrazione della Messa nella attigua chiesa dei Padri Cappuccini, dopo aver stretto con Foco un “patto d’unità”: trasposta, per pura grazia, insieme a lui nel Seno del Padre, si immerge nei misteri di Dio. E stando lì, in quello spazio divino, ne percepisce e ne contempla la realtà come l’Origine inoriginata da cui tutto prende vita e che tutto informa, anche l’Opera di Maria (Movimento dei Focolari) che vedrà delinearsi nel suo nucleo sorgivo.
“Sai dove siamo?” Ho sentito riecheggiare in me questa domanda quando mi sono imbattuta in uno scritto di Chiara, che porta la data del 25 marzo 1967, dove si legge:
“Sono a Loppiano. Dalla città ‘sognata’ in Dio, alla città realizzata o che sta realizzandosi in Dio.”
Questa frase, nella sua lapidaria intensità, mi ha raggiunto improvvisa, come una frecciata di luce che portava all’evidenza il legame intimo che unisce la nostra cittadella all’esperienza mistica del ‘49.
Il luogo fisico – Loppiano, dove Chiara stava trascorrendo quei giorni – si è infatti come trasfigurato ai miei occhi, quasi trasponendomi in altro “luogo”, dove la stessa Loppiano ideale è contenuta e da cui va tuttora prendendo vita. Questo luogo, questo spazio vitale è l’”in Dio”, che proprio nel ’49 si è massimamente rivelato.
È all’interno di questa dimensione fondativa e prospettica che, nel corso dei decenni, troviamo Chiara intenta a trascrivere storicamente quel “sogno” di cui era depositaria e, al tempo stesso, interprete, e per questo a noi tanto vicina.
Sulla traccia di alcuni testi fondativi, la vediamo, infatti, farsi attenta a leggere il disegno di Loppiano nella sua dimensione fontale, a portarlo alla luce, dando ad esso, di tempo in tempo, attuazione e forma nel profilarsi di strutture, nel sorgere di opere: una lunga stagione in cui è andata coniugando intuizione mistica e senso della storia, domanda che sorge dalla città e parola che la visione carismatica può dare.
Basta, al riguardo, richiamare tre momenti nei quali è emersa questa trama di luce che ha intessuto il configurarsi della cittadella.
Il primo risale a quel momento in cui – era l’anno 1965 – Chiara penetra “il vero significato di questa Mariapoli permanente” che ora le si mostra, in una sorta di illuminazione, come quel luogo in cui i disegni di Dio, che sono andati dispiegandosi nella storia delle prime dieci Mariapoli svoltesi sulle Dolomiti, “si fondono, si concretizzano, si vedono, si eternizzano”.
Se, allora, guardiamo alla prima Mariapoli, nata proprio nel ’49, qual è il disegno che lì si dispiega?
“Era – dice Chiara – una visione mille e mille volte saporosa e luminosa di quella realtà che è il regno di Dio in mezzo a noi, Gesù in mezzo a noi. (…) Lo abbiamo chiamato Paradiso. (…) Ora, qui (a Loppiano) questo Paradiso deve ripetersi, iniziando con oggi. E voi sapete cos’è Paradiso: Paradiso è bruciare tutto ciò che si vede per poter mostrare ciò che non si vede. Riuscire cioè a cancellare dalla propria anima, dal proprio spirito, le case, le cose, le persone, gli oliveti indorati che voi vedete, i colli verdeggianti, i cipressi meravigliosi, per far risplendere soltanto ciò che non si vede: Dio”.
Far risplendere Dio, edificare il regno di Dio in mezzo a noi: ecco l’essenza della nostra Mariapoli, che si sprigiona dall’esperienza originaria del Paradiso.
Un secondo momento. Accade, alcune volte, che visioni, dimensioni del Paradiso riaffiorano in Chiara proprio a contatto con realtà concrete di Loppiano, le quali ne vengono, a loro volta, così intimamente toccate da rivelare, in una luce più piena, ciò che realmente esse sono: “incarnazione” del Cielo in un “nuovo Cielo”, “dove tutto – annoterà Chiara in margine ad una pagina del ‘49 – è sostanziato di divino”.
Così è avvenuto quando, nel novembre del 1975, visitando la Cooperativa Loppiano Prima e affacciandosi alla finestra che si apriva sulla campagna coltivata, ha avuto l’impressione di “una visione di Paradiso”, “perché – ha spiegato – era tutto bello, tutto pieno di sole, tutto assolato, tutto… Mi sembrava di ricordare quel giorno in cui vedevo il sole sotto tutte le cose”.
Nasce così, da quella “visione di Paradiso”, una prospettiva nuova, un impulso di vita nuova: “Mi sembrava – continua Chiara – che i nostri volontari aiutassero il Creatore a sviluppare meglio la creazione e allora abbiamo dato come litania ‘Mater creatoris ora pro nobis’”.
E arriviamo al terzo momento, che ha il valore di un’attestazione e, al tempo stesso, di una consegna.
Siamo nel maggio 1987 e Chiara, in dialogo con i focolarini, la riassume così. Il Paradiso è una luce che informa tutto: plasma la mente, sprona alla ricerca della verità che sta sotto a tutte le cose, genera un nuovo stile di vita. È questo – osserva – che sta accadendo a Loppiano. Ed è così che si va forgiando quel popolo nuovo, “quell’anima sola che noi – sono parole sue – abbiamo forgiato nel ’49”.
Essere un’anima sola, sulla misura del Paradiso. Forse – oso pensare – è questa la consegna che Chiara rin-nova oggi, in questo 16 luglio, a tutti noi.
Anna Pelli
Alcuni membri del Centro Studi Interdisciplinare “Scuola Abba” con Chiara Lubich. Anna Pelli è la terza da sinistra nella fila dietro a Chiara.