Dal 13 al 21 luglio, il Genfest in Toscana ha preso le forme del programma di volontariato MilONGa, che ha coinvolto circa 100 giovani provenienti da varie parti d’Italia. Il finale a Loppiano, con tanti laboratori per conoscersi, lavorare e progettare insieme.
La milonga non è solo un ritmo musicale argentino che nasce dalla fusione di danze provenienti da diverse culture: africana, europea, latino-americana. È anche l’acronimo che contraddistingue il programma di volontariato internazionale del Movimento dei Focolari, nato una decina di anni fa, e che ha coinvolto alcune centinaia di giovani del sud e nord del pianeta, in missioni di solidarietà interculturale. Una solidarietà orizzontale e fraterna intesa come l’incontro di due mani che si uniscono, fatta di azioni concrete che nascono dal mettersi in ascolto dell’altro, considerato come fratello o sorella.
È a questa esperienza che si è ispirato il Genfest in Toscana, uno dei 44 festival locali animati dai giovani del Movimento dei Focolari in tutto il mondo, mentre in contemporanea, ad Aparecida, in Brasile, si svolgeva quello internazionale. Quale il tema, per tutti? “Insieme per prenderci cura”, come recitava il titolo, cioè la proposta di prendersi cura insieme delle persone e dell’umanità più sofferente e vulnerabile, al di là delle differenze culturali, etniche e religiose. Così, in tante città toscane, dal 13 al 21 luglio, ha preso il via questa sperimentazione, che ha visto protagonisti un gruppo di 107 giovani, tra volontari e tutor, provenienti anche da altre regioni italiane.
A Firenze, hanno collaborato con la mensa dei poveri della Caritas e con gli Angeli del Bello, che si prendono cura del decoro urbano e promuovono progetti per rendere le città più accoglienti. A Pistoia, con il Centro di Accoglienza Nuovi Orizzonti, che ospita giovani e adulti provenienti da situazioni di disagio legate alle dipendenze. A Massa, hanno prestato servizio presso Casa di Betania, che accoglie minori stranieri non accompagnati. Mentre a Lucca hanno supportato il Villaggio del Fanciullo, nato nel dopoguerra per dare casa agli orfani, e che oggi accoglie come in famiglia i ragazzi intercettati dai servizi sociali. A Prato, hanno lavorato con l’associazione Cieli Aperti, che ha come mission il sostegno e la cura dei minori attraverso la creazione di spazi di educazione e di svago, che favoriscono il contatto tra il cosiddetto “mondo normale” e quello “marginale”. Accanto al volontariato, anche tante altre esperienze.
Come quella di “urban blackout”, sempre a Prato, organizzata dalla locale Unione Italiana Ciechi, dove i giovani, bendati, sono stati guidati per le vie della città da persone non vedenti, in uno spazio che ha stimolato gli altri sensi, facendo scoprire loro una realtà fatta di suoni, odori e forme esaltate dalla mancanza della vista. O la cena organizzate dalle mamme delle case di accoglienza di ACISJF (Firenze), associazione nata in Europa per rispondere al bisogno di integrazione delle donne che, per vari motivi, si trovano lontane dal loro paese d’origine.
«L’esperienza che ho vissuto – racconta Caterina, di Prato – è stata a dir poco vitale: è questo per me l’unico aggettivo degno di descriverla. L’aver trascorso una settimana dove la condivisione e la riflessione erano le protagoniste mi ha davvero risollevata. Facendo volontariato ho dovuto necessariamente ritrovare e mostrare la parte migliore di me, quella dal cuore buono, sempre presente per il prossimo con una parola di conforto, un consiglio e un aiuto, grande o piccolo. Mi sono sentita una persona completamente cambiata. È stato un progetto che mi ha dato molto di più di quello che immaginavo. Lo porterò sempre con me».
Denise, uno dei tutor che ha accompagnato i giovani nell’esperienza, ha commentato: «Mi ha colpito molto la serietà con cui i ragazzi hanno affrontato il volontariato e come sono riusciti a superare piccoli e grandi ostacoli. Alcuni erano comuni, come il caldo e le zanzare. Altri erano personali: come sostenere lo sguardo di una persona povera in Caritas o come la paura di non riuscire a stare nell’incontro con chi, nella vita quotidiana, si tende ad evitare».
Anche le comunità locali dei Focolari hanno avuto una parte determinante nell’esperienza del Genfest. In ogni città le persone si sono dedicate senza risparmio ai giovani fin dalla preparazione: dalla ricerca dei fondi all’organizzazione dei pasti e del trasporto, dalla realizzazione di programmi culturali e ricreativi che hanno permesso di conoscere il bello di ogni città a momenti di condivisione e di conoscenza reciproca.
La settimana si è poi conclusa a Loppiano, dove i volontari delle diverse città hanno portato il loro ricco bagaglio di esperienze che poi hanno condiviso con gli altri giovani che avevano raggiunto la cittadella in occasione del Genfest. Oltre al collegamento con il Brasile, è stata loro offerta un’ampia scelta di laboratori, in cui ciascuno ha potuto sperimentarsi in base ai propri interessi e talenti. Dall’intelligenza artificiale alla relazione nelle discipline sanitarie, l’identità e la diversità, percorsi alla ricerca di sé stessi e degli altri nella natura. E poi, gruppi di espressone artistica, body percussion, giochi di team building e dinamiche psicomotorie per superare i conflitti; dialoghi sul tema dell’azzardo, sulla Costituzione e la cittadinanza. In questo modo, i giovani hanno potuto migliorare empatia e attitudine all’ascolto, il lavoro di squadra tra adulti e giovani, il networking, la responsabilità sociale, la solidarietà e la fraternità.
«Ho imparato molto dai ragazzi con i quali ho condiviso questa esperienza – ha affermato alla fine Alessandra, un’altra delle giovani tutor – dalla loro capacità di essere amici, dalla voglia di fare proposte, di vivere la musica, di amare per primi e di incontrare persone verso le quali si sono rivolte le nostre azioni di volontariato. Ho gioito della bellezza dei giovani che ho incontrato e dei tutor che hanno donato energie e tempo. Tutto parlava di amore. Anche gli errori, le sfide e le tensioni perché luogo della possibilità di ricominciare».