Da poco partito dalla cittadella, p. Jonathan Cotton, benedettino inglese ottantenne, è tornato nella sua abbazia di Ampleforth, nel Nord Est dell’Inghilterra. Portandosi dietro un’esperienza che ci ha voluto confidare.
«Nove mesi e due settimane, ovvero dal 28 settembre 2022 all’11 luglio 2023», sottolinea padre Jonathan Cotton a voler rimarcare la sua esperienza: «È stato fondamentale per me questo tempo a Loppiano». Il 9 maggio ha compiuto 80 anni ed è stato festeggiato dai religiosi presenti con lui alla Claritas, assieme all’augurio di tutta la cittadella. Ma non è certamente il compleanno rotondo che ha segnato la vita di questo benedettino, entrato nel 1961 nell’abbazia di Ampleforth, vicino a York, nel Nord Est dell’Inghilterra. Persona gioviale, sorriso frequente, umorismo immancabile, capacità di ridere di sé stesso.
Ma perché «fondamentale» Loppiano per un monaco di lunga esperienza? «Ho scoperto chi è il Dio che mi ama immensamente. In un certo senso lo sapevo già, ma ora lo capisco più chiaramente. Egli rimane un mistero, ma io l’ho capito. È come un’esperienza mistica. Ho visto Dio negli occhi e nel comportamento di adulti, adolescenti e bambini, qui a Loppiano. Anche nel gruppo di incontro sulla Parola di Vita». Poi precisa: «Ovviamente non è stato così ogni giorno, ma molte volte lo è stato. E tutte le diverse persone di Loppiano, compresi i cinque religiosi che vivevano con me alla Claritas, fanno parte di questa mia esperienza».
Nell’agosto 1972 partecipa alla Mariapoli che si tiene a Manchester. Tra i partecipanti, un buon numero non è cattolico. Rimane colpito dal fatto che «queste persone conoscevano Dio meglio di me». Ammette sorridendo: «Ero arrabbiato con me stesso, che avevo studiato tanto». Era stato ordinato sacerdote un anno prima ed era monaco da undici. Un’autentica lezione. «Avevo visto vivere il Vangelo nella vita quotidiana e con tutti. Da quel momento tutto è cambiato. Anche come monaco». Resta il fatto che ancor prima della Mariapoli era stato colpito da un suo confratello, p. Maurus Green. «Aveva un bel carattere, ma soprattutto aveva qualcosa in più rispetto agli altri monaci». Lo animava la spiritualità dell’unità di Chiara Lubich.
«A Loppiano ho sperimentato che l’amore che Dio ha per me è puro e bello. Ho provato una grande tenerezza, la misericordia e la perfetta purezza. È come l’amore che ho ricevuto da Maité, la bambina di 6 anni sulla sedia a rotelle. Non aveva parole, perché non può parlare, ma quando mi guardava con i suoi occhi era amore puro, non c’era alcun interesse o manipolazione».
La permanenza a Loppiano gli ha fatto capire meglio una cosa fondamentale. Che «se l’unità fosse facile non verrebbe da Dio». Allo stesso tempo, ha compreso che «il luogo in cui ci viene data la grazia per affrontare le difficoltà è all’interno della nostra vocazione, lì dove viviamo, nel piccolo gruppo che è il nucleo della nostra vita. È lì che è più difficile vivere con gli altri giorno per giorno, ma è una parte vitale della nostra “formazione permanente”».
L’ultima confidenza di p. Jonathan sorprende, perché riguarda ciò che caratterizza di più un monaco. «Ho imparato meglio a pregare Dio personalmente e insieme con gli altri. In particolare, nella condivisione della meditazione. Insomma, ho iniziato a realizzare qualcosa che dovrebbe essere ovvio per me, se ci si pensa. Gesù ci ha insegnato a pregare sempre. Perciò dovremmo essere sempre gioiosi. Questa è la gioia di Dio, non una gioia umana. Credo di essere cresciuto in questa direzione durante la mia permanenza a Loppiano, perché ho sperimentato il senso dell’amore reciproco e avvertita la presenza di Gesù nella comunità».