In visita a Loppiano, dopo un pellegrinaggio in Terra Santa con cattolici ed ebrei dell’America Latina. Un viaggio inedito per conoscere insieme i luoghi sacri delle due religioni e scoprire Antico e Nuovo Testamento.
«È la prima esperienza del genere che viene fatta in Terra Santa», precisa la rabbina Silvina Chemen con voce pacata ma con uno sguardo che rivela un pizzico di fierezza. Nell’indole di questa esponente argentina del mondo ebraico c’è infatti un dinamismo che la muove a generare novità. Rabbina dal 2005, laureata in scienze della comunicazione, oratrice brillante, appassionata e dedita al dialogo, guida a Buenos Aires la Comunità Bet El, composta da un migliaio di famiglie. È appena tornata da un viaggio senza precedenti in Terra Santa, dal 9 al 22 gennaio, con 45 persone dell’America Latina (dall’Argentina al Messico), cattolici ed ebrei. La incontriamo a Loppiano, dove è stata invitata a parlare agli studenti di Sophia e, in serata, agli abitanti della cittadella.
«Abbiamo camminato insieme – ci racconta – nei luoghi sacri delle due religioni proprio per vivere esperienze concrete insieme. Non sono stati due cammini paralleli, ma un unico pellegrinaggio per incontrare un messaggio tanto nel Primo o Antico Testamento, che nel Nuovo, tanto nelle parole di Papa Francesco, quanto in quelle di un filosofo ebreo. Con noi c’era il teologo cattolico argentino José Luis D’Amico, biblista. Assieme approfondivamo il significato dei luoghi visitati e commentavamo i passi della Scrittura».
Cosa ha reso possibile un tale viaggio?
«Tutto è cominciato sette anni fa, quando un grandissimo gruppo di ebrei e cattolici dell’Argentina e, dopo la pandemia, di tutta l’America Latina, ha deciso di studiare insieme, trovandosi e collegandosi una volta al mese, con un preciso impegno, quello di incontrarsi non per parlare dell’altro, ma per parlare con l’altro
della sua sensibilità, del suo pensiero, del contenuto della sua fede. Abbiamo fatto l’esperienza, che si chiama “Letture condivise”, cioè un brano dell’Antico Testamento e uno del Vangelo, sottolineando i legami tra i due testi per parlare insieme della propria visione, della propria religione».
Che prospettive può aprire un’esperienza del genere?
«Quella di avviare una pedagogia della speranza. Non posso essere una persona religiosa se non sono convinta che siamo tantissime persone nel mondo che abbiamo la speranza di un mondo migliore. Per cui, tutto quello che si può fare verso questo scopo, lo dobbiamo fare. Le nostre religioni ci dicono che dobbiamo essere insieme per costruire un mondo unito».
Quali fattori frenano od ostacolano il dialogo tra cattolici ed ebrei?
«L’ostacolo più grande è l’ignoranza, perché alimenta il pregiudizio. Pregiudizio, che significa non sapere nulla dell’altro ma credere di sapere qualcosa dell’altro, perché l’ho ricevuto dalla mia Chiesa, dalla mia famiglia, dagli amici. Dobbiamo far emergere i pregiudizi e parlarne insieme».
Questa sua rapida visita a Loppiano che significato ha?
«È un regalo che mi sono fatta. Qui vive una parte di Silvina e, ogni volta che posso, vengo a ritrovarla. Perché una parte della mia famiglia è qui. Per questo mi dispiace che il mio italiano non sia perfetto, ma il mio italiano è un segno d’amore, perché io studio l’italiano solo per comunicarmi con la mia famiglia del Movimento dei focolari. Questo è un frutto del dialogo, è la mia vita, non una situazione intellettuale astratta».