Nell’Inaugurazione dell’Anno accademico 2022/2023, parole di incoraggiamento e sprone, per un’università che si vuole nel futuro. Le parole del card. Betori, di Margaret Karram, del rettore O’Byrne e del prof. Magatti
Come ogni anno, il principale appuntamento di una comunità accademica è l’inizio ufficiale delle attività. Di questi tempi, di fronte alle complesse sfide della cultura e della socialità che esce dalla prova della pandemia e che si trova a confrontarsi col ritorno della guerra sul territorio europeo, non è cosa di poco conto.
Anche quest’anno si è aperto a Loppiano (Figline-Incisa Valdarno) l’Anno Accademico 2022/2023 dell’Istituto Universitario Sophia, alla presenza di 350 persone. Il titolo dato all’appuntamento, il 15° della serie, è stato: “Cambio di paradigma: l’università del futuro”. Al solito, Sophia ha voluto cogliere l’occasione per cercare di aprire percorsi inediti, presentare qualcosa di quella “poliedricità” che è parte costitutiva del suo patrimonio.
Il Gran Cancelliere, sua eminenza il card. Giuseppe Betori, che sin dall’inizio ha accompagnato e sostenuto il percorso di Sophia, ha detto nel suo saluto che Sophia «comincia ad entrare nel tempo della maturità». Ed ha raccomandato «di attingere sempre alle radici carismatiche alla base dell’Istituto, radici da cui emerge la vita», anche quella accademica.
La Vice Gran Cancelliere, Margaret Karram, presidente del Movimento dei Focolari ha posto l’accento sul rinnovamento che, dopo la fase iniziale, caratterizza l’attuale momento dell’Istituto. «Constatiamo che una nuova generazione di docenti, che si sono formati accademicamente in questo Istituto – ha detto −, sta raccogliendo il testimone da chi ha iniziato. Mi riferisco ai professori “della prima ora” a cui va tutta la mia stima e gratitudine. Sono coloro che, con coraggio, hanno lasciato i prestigiosi incarichi che ricoprivano in altri atenei per dare vita al sogno di Chiara Lubich: far nascere, cioè, un’istituzione universitaria al servizio della Chiesa e dell’umanità, che desse consistenza culturale e accademica al carisma dell’unità, per concorrere alla realizzazione del “che tutti siano uno” (Gv 17,21)». La missione dello IUS appare di non secondaria importanza in questo momento storico di «frammentazione dei saperi e delle opinioni» che richiede attenzione e dedizione: «Solo mettendoci in ascolto della Sapienza di Dio – ha continuato Margaret Karram −, solo lasciandoci plasmare da essa e adoperandoci, a partire da noi stessi, a far sì che si trasformi in cultura, si traccerà la via per rispondere alle tante domande del pensiero contemporaneo e si potrà contribuire a sanare le ferite e gli immensi dolori che affliggono l’umanità».
Ben sei sono le parole che i rappresentanti degli studenti, Merveille Kouatouka e Valentina Alarcón, hanno voluto proporre nella loro breve presentazione: Accogliere, ascoltare, scoprire, contemplare, osare, desiderare, cioè i sei verbi che gli studenti hanno volute scegliere nell’approfondimento di una materia che solitamente non si trova nelle università, la “condivisione” (materia che a Sophia dà crediti universitari, perché espressione dello stile di vita che l’istituto vuol favorire): «Un invito ad aprire un cammino – hanno detto −, a creare ed essere “luogo” in cui condividere la Sapienza e nutrirsi reciprocamente. Ci piace ricordare l’invito di Benedetto XVI nella Caritas in veritate: “La verità, infatti, è lógos che crea diá-logos e quindi comunicazione e comunione”».
Il rettore f.f., il prof. Declan O’Byrne − da poco nominato in successione coi predecessori, il prof. Piero Coda, preside fino al 2020, e il prof. Giuseppe Argiolas, rettore dal 2020 − ha voluto nel suo intervento concentrare l’attenzione su un’espressione presente nel Piano strategico del 2014, che quest’anno verrà rinnovato, che parlava di Sophia come «università del futuro». Si è chiesto il rettore: «In che senso si può fare un’affermazione del genere?». Non vuol dir che «Sophia pensi di essere una specie di modello di come possano essere altre università». Può significare piuttosto «pensare Sophia come un luogo universitario a servizio al futuro. Spostare l’attenzione cioè dal già al non-ancora». E, ancora e soprattutto, «Sophia, in continuità con la missione della Chiesa, deve sapere orientare il suo lavoro verso il futuro e deve saper superare le rigide distinzioni tra le discipline, ma anche collegare lo sforzo transdisciplinare ad una visione informata al destino di tutte le cose di diventare uno in Cristo».
Nella sua prolusione, il prof. Mauro Magatti, ordinario di Sociologia generale all’Università cattolica del Sacro Cuore e amico della prima ora di Sophia, ha spaziato con le sue riflessioni sull’idea di università. Ha detto: «Non si può comprendere la vita sociale senza tenere conto di questa capacità di operare uno scarto di piano, un salto quantico rispetto a vincoli che sembrerebbero configurare una impasse, o un determinismo inscalfibile. In questo senso, lo spirito può essere pensato come ciò che è capace di “infinire nel finito”, di “infinitizzare” mediante proiezioni che aprono linee di fuga e spazi di libertà al di là del dato di fatto». E ancora: «Abbiamo bisogno di una nuova conoscenza e perciò di una nuova università». In che modo? «Per abitare il tempo della complessità, occorre riconoscere, valorizzare, coltivare una ragione aperta, multidimensionale, diffusa, incarnata, in costante dialogo e interrogazione con ciò che è non razionale, a-razionale, sovrarazionale».
«Abitare il tempo della complessità» è l’invito del prof. Magatti. La comunità accademica di Sophia, e la vasta schiera dei suoi amici raccoglie la sfida.