Dina Figueiredo è una pittrice portoghese, autrice delle vetrate del Santuario Maria Theotokos. Dalle sue parole, scopriamo lo stato dei lavori di ricostruzione, la sua storica collaborazione con il Centro Ave Arte, la passione per l’arte, la luce e i suoi riflessi.
«Sono nata in un piccolo paesino di 40 case, Casal de Alho, a pochi chilometri da Nazaré, sull’oceano Atlantico» racconta Dina Figueiredo, classe 1964, pittrice portoghese e anche autrice delle vetrate divelte dalla tempesta del 18 agosto scorso, nel Santuario Maria Theotokos.
Oggi, Dina vive in focolare a Lisbona. La sua vita, sia professionale che personale si svolge prevalentemente in terra lusitana, anche se è possibile trovare le sue opere – vetrate, mosaici, tabernacoli e altri elementi liturgici – in chiese e cappelle della Spagna, dell’Italia, del Giappone, della Corea, dell’Irlanda e di Panama.
Ricordi, per immagini
Collabora con il Centro Ave Arte dal 1991. Ma la sua passione per la luce e i colori, risale all’infanzia. «Fin da piccola, mi piaceva osservare i riflessi di luce, la diversità dei colori nella terra appena arata, che sentivo viva» ricorda Dina. E aggiunge: «D’inverno, andavamo spesso al mare. Le onde erano alte 5 metri e arrivavano alle case. A me piaceva rimanere fino a tardi, per guardare il tramonto sul mare. Quei colori forti: gli azzurri, i viola, gli arancioni e i gialli. Io uso poco il rosso nelle mie vetrate, quasi mai il verde, ma questi colori penso di averli colti dall’oceano».
A nove anni, Dina perde il padre: «Per molto tempo mi sono sentita come una che porta i libri a scuola e poi li riporta a casa». Dopo qualche tempo, viene invitata ad una Mariapoli e lì, durante un gioco, le capita sottomano una frase di Chiara Lubich: “Chi non studia è un incosciente. Chi studia per il voto è un orgoglioso. Chi studia per fare la volontà di Dio è un gen, uno che crede al mondo unito”. Così, lei, che voleva lasciare gli studi perché non c’era il liceo artistico nella sua città, decide di trasferirsi e va ad abitare da sola. Qualche anno dopo, si iscrive alla facoltà di Belle Arti di Porto. Ma è il 1985, l’anno determinante per la sua vocazione, quando partecipa al Genfest. «Vedere entrare Chiara, vedere Giovanni Paolo II… Quella luce, si può dire, che ti crea dentro e non ti senti insieme a tanta gente ma da sola con Gesù. Quando frequenti l’università sogni cose grandi… Da lì, con gli anni, anche in focolare, ho capito che dovevo fare la mia parte nelle piccole cose, perché così Dio può agire. E Lui fa cose grandi!».
Le vetrate del Santuario Maria Theotokos
Dina parte per Loppiano. Vi trascorre 23 anni. Condividendo con il Centro Ave Arte la grande avventura della costruzione del Santuario di Loppiano. «All’inizio, io avrei dovuto fare soltanto la vetrata centrale. Ma poi, per dare una maggiore armonia all’insieme, si è visto che era meglio che mi occupassi anche delle due laterali previste: quella della Via Crucis e quella della Via Mariae».
Raccolta questa necessità, Dina si isola, per meditare e trovare l’ispirazione. «Era una lotta contro il tempo! Elda Pardi, a quei tempi co-responsabile della cittadella, un giorno mi disse: “Dina, devi avere pazienza con noi, che delle volte pensiamo che basti mettere un gettone per far uscire l’opera d’arte!” – e, aggiunge – per me è stato come scavare sempre più profondo nel terreno per trovare l’acqua». Ricorda molto bene come andò che si decise di non rappresentare la Via Crucis ma il mistero della Passione, nella vetrata a sinistra dell’altare. «Chiara Lubich, in quel periodo, aveva ricevuto un terreno in Terra Santa, la cosiddetta “Scaletta”. Qui, secondo una tradizione, Gesù, la sera dopo l’ultima cena, andando verso l’orto del Getsemani aveva pronunciato la preghiera per l’unità: “Padre che tutti siano una cosa sola”. Noi eravamo andate a Roma e durante un incontro abbiamo visto le foto del terreno, con i cipressi e gli olivi che facevano pensare tanto alla Toscana. Lì, ho esultato! Era come ricominciare a vedere quando non vedi».
E sulla vetrata della Via Mariae: «Io sono più astratta che figurativa, per cui non è stato facile per me rappresentare Maria. Ho avuto anche qualcuno che posava per me, con il mantello. La vetrata dedicata a “Maria Parola vissuta”, rappresentata come una voragine d’amore, quando l’ho fatta alcune persone non capivano, mentre per me era la più significativa e continua ad esserlo!».
Dopo tutto questo lavoro, chissà cosa si prova a vederlo andare, letteralmente, in frantumi? Dina, con una voce che fa trasparire una sincera serenità, osserva: «Io penso che la solidarietà che è arrivata in un modo così forte, da tutte le parti del mondo, non fa pensare al danno ma alla speranza di quello che si potrà ricostruire. Per me è una grazia esser potuta tornare spesso e avere potuto ascoltare cosa quest’opera costruisce in chi la vede. Ormai, non è più solo “mia” ma di un corpo!».
Adesso, i lavori sono avviati per ricostruire la vetrata dell’Assunzione e quella di Maria Parola Vissuta. Le previsioni sono di terminarle entro dicembre. «Sono appena ritornata da un viaggio nel nord Italia per avviare i lavori. Abbiamo già scelto i vetri soffiati, che arrivano dalla Germania. Saranno pregiati, con delle trasparenze e degradé dai colori molto vibranti. Intanto, stanno terminando gli infissi. Io seguirò i lavori dal Portogallo e, se necessario, mi metterò in viaggio!».