Edson, focolarino che per tanti anni ha vissuto a Loppiano, ha raggiunto, a gennaio scorso, l’Amazzonia brasiliana. Per la precisione, la città-porto di Óbidos. In queste settimane è tornato nella cittadella per motivi di studio e abbiamo potuto intervistarlo, per scoprire la sua vita nel polmone del mondo.
Il 14 marzo del 2020, ad Óbidos, città portuale nell’Amazzonia brasiliana, è stato inaugurato il primo focolare. Ne fanno parte: Hildebrando, arrivato nel 2015 da Londra, e ordinato sacerdote qui, nel 2018; Eustáquio, proveniente dalla Siria; e infine, Edson, arrivato da… Loppiano! Il vescovo, mons. Bernardo Bahlmann, lì ha benedetti così, quel giorno, durante la sua omelia: «Adesso questi tre focolarini sono qui per mantenere acceso tra loro il fuoco, la presenza di Gesù. E poi, diffondere questo amore, questo fuoco, in tutta l’Amazzonia».
Il focolare
All’inaugurazione, erano presenti una settantina di persone: famiglie con i bambini, sacerdoti e seminaristi, suore, i frati Francescani. Maria Emmaus Voce, presidente del Movimento dei Focolari, si è fatta presente con un messaggio in cui, su richiesta di mons. Bernardo, suggeriva un nome per il focolare, ovvero “Sorgente di gioia” (Fonte de alegria). «Vi ricorderà – ha spiegato Emmaus – la predilezione di Gesù, della Chiesa e dell’Opera, per la vostra terra. Ce lo dimostra anche la benedizione del Vescovo che vi segue da vicino». Ed è stato sempre il vescovo a donare ai focolarini una casa in un quartiere periferico e molto povero di Óbidos, mentre i mobili sono arrivati grazie alla Provvidenza. «È un luogo che abbiamo scelto, perché vogliamo stare dove c’è bisogno» spiega Edson. È un po’ questo, lo spirito del focolare di Óbidos. Essere aperti – come Emmaus e Jesús hanno invitato a fare i focolarini – allo Spirito Santo, alle necessità e alle richieste della Chiesa locale. Ha precisato ancora Edson: «Non importa se ci chiamano religiosi o missionari, perché non sanno chi sono i focolarini. L’importante è che sentano che ci siamo per loro!».
Insomma, le cose erano cominciate così, lungo il grande fiume, con grandi speranze… se non che, anche l’Amazzonia, è stata raggiunta dall’epidemia di Covid. «È stato come se il Signore ci dicesse – ricorda Edson – fermatevi, prendetevi del tempo, conoscetevi, vivete l’unità, costruite il corpo… Allora, abbiamo dovuto perdere tutti i nostri progetti e metterci in ascolto delle necessità!».
Porti chiusi
E di necessità, a quel punto, ce ne erano davvero tante. Per precauzione, il porto era stato chiuso, la nave ospedale “Papa Francesco”, dove sono stati in missione anche i focolarini, in supporto medico e pastorale alle comunità rivierasche, si era dovuta fermare, perché non dotata dei necessari filtri batteriologici specifici per l’aria. Con l’assenza del commercio, il cibo aveva cominciato a scarseggiare ed era arrivata la stagione delle piogge, non favorevole alla pesca. A quel punto, il rischio più grande era la fame. Così, trasformata in mercantile, la nave Papa Francesco aveva solcato il Rio delle Amazzoni per distribuire pacchi con i beni di prima necessità, sanitari e alimentari, lungo costa. Anche le mascherine cucite dalle religiose e da alcune signore di Óbidos.
Per due mesi, tutti i sacerdoti, i seminaristi, i religiosi, le religiose, le consacrate e, naturalmente, anche i focolarini, divisi in turni, sono stati coinvolti nell’adorazione Eucaristica, 24 ore su 24, per chiedere la fine della pandemia.
«Un’esperienza fortissima, che sembrava ridimensionare tutti i nostri progetti… Gesù ci chiedeva di rimanere lì, al resto avrebbe pensato Lui». E le cose sono andate proprio così. Qualche tempo dopo, il vescovo ha proposto ai focolarini di partecipare ad un programma radio della diocesi, una catechesi, in preparazione alla Pasqua. Il programma, che durava circa 30 minuti, è andato in onda ogni lunedì mattina per quattro settimane. Poi, ce n’è stato un altro, per altrettante settimane, in preparazione alla Pentecoste. Da questi prodromi, l’idea di farne un corso di formazione dal vivo per catechisti e animatori che partirà prima possibile, con il nuovo anno.
«Dove abitiamo, il quartiere è molto povero, e con le scuole chiuse per la pandemia ci siamo trovati anche di fronte alla necessità di sfamare i bambini che contano sui pasti che fanno a scuola per vivere, – ci spiega Edson – spesso, regaliamo loro frutta, uova, pane, farina. Facciamo circolare i beni. Così, anche la comunità si è messa a cucinare per distribuire loro il cibo. E sono avvenuti anche dei miracoli! Un giorno, il governo locale ha sequestrato due grandi pescherecci che pescavano illegalmente. C’erano a bordo circa 10 tonnellate di pesce surgelato che abbiamo distribuito a tanti. Era bellissimo vedere la gioia delle mamme e dei bambini nel tornare a casa con i secchi pieni di pesce! Poi, la sera, per ricambiare, alcune famiglie ci hanno portato in focolare la nostra razione di pesce cotto».
Progetti
Una delle attività che il focolare di Óbidos sta puntando a fare è l’orto, un orto comunitario la cui regola è “riceve chi partecipa”: «Ci sono tanti giovani e ragazzi attorno a noi, spesso fermi “sul muretto” senza fare niente, che stiamo coinvolgendo nel preparare il terreno, nella scelta dei concimi, nel prendere la terra dal bosco… Così, con la scusa dell’orto, si crea una comunità».
Le sfide nella città portuale sul Rio delle Amazzoni, sono tante e grandi, da sembrare insormontabili talvolta, ma il focolare “Sorgente di gioia” le affronta con sguardo di speranza: «Vorremmo poter andare alle origini dei problemi sociali del quartiere, che sono molto seri: tra i giovani, dai 16 ai 18 anni, sono diffusi i casi di suicidio. E le ragazze, appena adolescenti, spesso sono già madri, vittime di una povertà che trascina alla prostituzione. Così, stiamo progettando di coinvolgere alcuni psicologi e psicologhe con cui siamo in contatto in Brasile, per delle consulenze di alcune settimane e tematiche di approfondimento per i giovani, per poter risolvere i problemi a partire dalle persone».