Da sabato 5 settembre, si trova online la seconda lezione della campagna #Daretocare, lanciata dai giovani del Movimento dei Focolari, un hashtag che tradotto letteralmente significa “osare prendersi cura”. Scopriamo di cosa si tratta.
“Sono forse il custode di mio fratello?”. Caino rispose alla domanda rivoltagli da Dio (“Dov’è Abele, tuo fratello?”) con un’altra domanda, secondo il tipico stile della dialettica ebraica. Ci dà, così, con il rovescio della medaglia, la miglior definizione di che cosa significhi “fraternità”: sì, se sei fratello, e non l’assassino di tuo fratello, sei custode della sua vita, sei colui che se ne prende cura.
E potremmo continuare ad usare questo metodo di comprensione della realtà. C’è chi dice, infatti, che una cosa si capisce bene studiandola, ma si capisce meglio guardando il suo contrario. Così possiamo leggere al rovescio anche l’esperienza di Ulrike, medico psichiatra che attualmente ad Augsburg, in Germania, lavora presso un servizio telefonico ai cittadini. Avrebbe potuto rispondere a quella signora che aveva bisogno di un’informazione particolare con un semplice ed educatissimo: “Mi dispiace, non posso aiutarla”. Invece è voluta andare fino in fondo, prendendosi cura della necessità di quella persona, facendo proprio il suo bisogno, fino a trovare l’informazione che aveva chiesto. È per questo che, poche ore dopo, riceve questa mail: “Cara dottoressa, io e mio marito desideriamo ringraziarla ancora una volta di tutto cuore per il suo straordinario impegno. Se tutti si comportassero bene e si rendessero disponibili come lei in questo periodo così difficile, ci sarebbero meno problemi”.
Insomma, per scoprire di cosa si tratta il “prendersi cura” potremmo fare l’esercizio di domandarci in tante situazioni: che cosa sarebbe successo se in questo o in quel caso nessuno si fosse preso cura dell’altro?
Così, i giovani del Movimento dei Focolari hanno capito che “prendersi cura” è la missione fondamentale della politica e di tutti quelli che vogliono essere cittadini attivi. Per questo, con la campagna #daretocare, ci propongono di mettere la cura al centro della nostra vita: delle nostre famiglie, delle nostre comunità, del nostro rapporto con l’ambiente, della politica e della nostra vita di cittadini globali.
Rinforza il loro messaggio la professoressa Elena Pulcini, docente di filosofia sociale presso l’università di Firenze: «Dobbiamo adottare la cura come stile di vita, in grado di spezzare il nostro individualismo illimitato che sta portando non solo l’autodistruzione dell’umanità, ma anche la distruzione del mondo vivente». Ma come fare per cambiare stile di vita, per “spezzare l’individualismo”?
Troviamo nell’enciclica Laudato Si’ di Papa Francesco, al numero 92 del capitolo V: «Tutto è in relazione, e tutti noi esseri umani siamo uniti come fratelli e sorelle in un meraviglioso pellegrinaggio, legati dall’amore che Dio ha per ciascuna delle sue creature e che ci unisce anche tra noi, con tenero affetto, al fratello sole, alla sorella luna, al fratello fiume e alla madre terra». Già nel 1949 scriveva Chiara Lubich: «Sulla terra tutto è in rapporto di amore con tutto: ogni cosa con ogni cosa. Bisogna essere l’Amore per trovare il filo d’oro fra gli esseri». Forse, allora, tutto sta in questo “essere l’Amore”, cioè nell’imparare ad “essere l’Amore”.
Lanciando il progetto #Daretocare, i giovani dei Focolari hanno proposto 5 tematiche, 5 percorsi che sono anche formativi, per crescere come uomini e donne che osano, che hanno il coraggio di “prendersi cura”, che hanno deciso di “essere l’Amore”: ascolto, dialogo e comunicazione, uguaglianza, fraternità e bene comune, partecipazione e cura del pianeta.
Sabato 5 settembre, durante la seconda “lezione” #daretocare, Amy Uelmen, docente presso la Georgetown Law School, e Cristina Montoya, dell’Istituto Universitario Sophia di Loppiano, hanno lanciato una provocazione parlando proprio del dialogo. «Il dialogo – esordisce Cristina Montoya, colombiana – non è, come spesso pensiamo, una conversazione serena che porta al consenso; il dialogo vero è la cosa più destabilizzante, creativa e generativa che possa esistere, è un invito ad allargare, anzi, a spingere qualche metro più in là il nostro orizzonte di comprensione e di senso». «Il dialogo – conclude Amy Uelmen – apre i cuori e le menti alla ricerca creativa del come esattamente possiamo generare un cambiamento, come possiamo attuare la cura nelle nostre società. Abbiamo bisogno del dialogo per fare questo, e ne abbiamo bisogno per capire come la cura può inserirsi nelle strutture sociali».
E questo è solo l’inizio… Per chi desidera saperne di più, c’è il sito web dello United World Project che ospita tutti gli aggiornamenti di #Daretocare e le innumerevoli iniziative che si stanno già svolgendo nel mondo. Si tratta infatti, anche di “fare” qualcosa per gli altri, dalla dimensione locale a quella globale. Per questo nella grafica scelta per illustrare la campagna c’è una mano, anzi tante mani: «L’immagine più simbolica, con cui viene identificata la cura – spiega Luana Gravina, ideatrice del progetto grafico – sono le mani. Prendersi cura degli altri infatti vuol dire agire. La E di CARE si trasforma quindi in una mano stilizzata, che richiama l’idea della concretezza».