Abbiamo chiesto a Luciana Scalacci che, con il marito Nicola, sono stati tra i pionieri dell’esperienza di dialogo tra persone di varie convinzioni, anche non religiose, nata con e nel Movimento dei focolari, di ricordare con noi Chiara Lubich, donna del dialogo, in questo 14 marzo 2020.
Sono gli inizi degli anni ’90. Luciana e Nicola vivono ad Abbadia San Salvatore, sul Monte Amiata. Sono due persone molto impegnate in campo politico e sindacale, in una militanza di sinistra incentrata sui valori della giustizia, del dialogo e della libertà. Conoscono il focolare. «Un giorno, – racconta Luciana – sentii parlare di “dialogo tra persone di convinzioni diverse”. Si dichiarava di non avere intenti di proselitismo ma la volontà di unire, attraverso un reale rispetto e confronto, le persone di buona volontà, per il difficile e lungo cammino verso un “mondo più unito”. Seppure con scetticismo decisi di aderire; forse, il movimento era un posto dove ci si poteva impegnare socialmente senza prevenzioni…».
Cominciò così, per lei e il marito Nicola, un cammino per nulla scontato. «Non è scontato nemmeno oggi, ma a quel tempo non era comune che un movimento d’ispirazione cristiana, che aderiva alla Chiesa Cattolica, aprisse le porte a persone che addirittura non si riconoscevano in alcuna fede religiosa, per instaurare con loro rapporti di dialogo e di collaborazione fattiva» ricorda Luciana. Insomma, come tutte le cose ignote, quest’avventura non mancava di generare timore, dall’una e dall’altra parte. «L’unica che non ha avuto preoccupazioni di sorta, secondo me, è stata Chiara che, con coraggio e senso di responsabilità, forte della sua verità, aveva capito che la lunga strada per la fratellanza universale non può che passare attraverso le vie del confronto rispettoso con tutti,» ci confida Luciana «lei ha capito fin dal primo momento che l’unità si fa con gli altri, non contro gli altri e non poteva lasciare fuori la parte di mondo che – come me – non si riconosce in nessuna fede religiosa».
Sono i primi passi di una strada nuova, e Luciana talvolta ha l’occasione di condividere il cammino con Chiara Lubich stessa… «Sono stata particolarmente fortunata e privilegiata: ho avuto l’opportunità di avere un rapporto diretto con lei in più occasioni. Vi assicuro che a me, che sono nessuno, ha fatto sentire sin dal primo incontro tutto il suo affetto, tutta la sua stima, mi ha dedicato tutta la sua considerazione come se fossi stata una persona importante. ?Ricordo quando a Firenze nel 2000, le fu conferita la cittadinanza onoraria, a Palazzo Vecchio. Mi invitò a salire con lei in ascensore, con i focolarini e le focolarine che l’accompagnavano per raggiungere il Salone dei Cinquecento, dove si sarebbe svolta la cerimonia…».
Tra i ricordi più belli, una lettera, che rilegge spesso. “Carissima Luciana, – scrive Chiara – grazie di avermi fatto giungere i tuoi auguri per il mio viaggio in Argentina e Brasile che ho tanto graditi. […] Abbiamo già fatto tanti passi insieme e ci siamo reciprocamente arricchiti, ora, come tu dici, dobbiamo rendere questo cammino sempre più visibile perché tanti altri possano provarlo. Il segreto lo conosciamo: Andiamo avanti ad amare! Ti porto con me in questo mio viaggio dove incontrerò altri fratelli che condividono i nostri Ideali. Ciao Luciana, Chiara”.
«Certo io posso parlare solo per me, ma ecco ciò che credo di avere imparato – riprende con decisione Luciana – Chiara, con il suo modo di dialogare ha potuto creare “ponti di Unità”; è riuscita a far emergere da ciascuno, da ogni cultura civile e religiosa, tutto ciò che unisce e non ciò che può dividere… Mi ha fatto capire che le “strutture” che sono in sofferenza, o in errore, o in incompletezza, ma nelle quali si crede, non si abbandonano: bisogna rimanerne all’interno, perché solo dall’interno si può contribuire a migliorarle, a farle crescere, aiutarle ad individuare la via maestra per perseguire i migliori e più giusti obiettivi». E poi, ancora, sull’importanza del dialogo: «Ho imparato che il dialogo è l’unico strumento utile a risolvere i problemi che affliggono l’umanità; che il dialogo non è un optional ma una necessità: è l’arma che va usata, altrimenti ?continueremo a camminare verso la autodistruzione; che per mettersi in rapporto con gli altri è necessario prima di tutto conoscere se stessi e, forti, della ?propria verità, offrirla agli altri con amore e disinteresse personale, pronti ad accogliere la verità ?dell’altro, considerandola tanto importante quanto la propria; ?che il dialogo è partecipazione alla vita dell’altro e non ha nulla a che vedere con la tolleranza, (anche se Chiara ci disse giustamente che ?le persone che non sanno dialogare, per evitare di litigare, è bene che almeno si tollerino); che è impossibile raggiungere questi obiettivi senza valori come la solidarietà, la pace, l’unità, se non ci ?si impegna fattivamente per i diritti umani, per la giustizia, per la libertà, per una vita dignitosa per tutti. Altrimenti la solidarietà, la pace, l’unità restano solo enunciazioni teoriche. L’amore non è una parola fine a se stessa, il dialogo vissuto aiuta a rendere la coscienza più attenta, a vedere la sofferenza sociale e individuale».
Qualcuno potrebbe chiedersi… e ora che Chiara non c’è più, che ne è di tutto questo? «Sì, Chiara non c’è più ma noi a quella speranza di fraternità ci crediamo ancora oggi, e io sento che dobbiamo continuare a crederci e per essa impegnarci se vogliamo uscire dal “buco nero” in cui l’egoismo umano ci ha cacciati. È sui nostri giovani, a cui dobbiamo umilmente chiedere scusa e perdono, che possiamo contare per la costruzione di un mondo migliore».